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Monte Rushmore, una storia italiana

7/4/2020

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Black lives matter, il monumento sul monte Rushmore (scolpito da un italiano) nella lista delle opere fortemente criticate.

In questi giorni, in merito alle proteste USA legate al "black lives matter", si è parlato anche del celeberrimo monumento dei quattro più famosi presidenti della storia americana, il Monte Rushmore.
Non è nostro interesse aprire un dibattito politico su un'argomento già ampiamente affrontato su tutti i principali quotidiani nazionali ed esteri, vogliamo invece raccontare la storia di un grande artista italiano poco noto al pubblico, Luigi Del Bianco.
L'uomo originario di Meduno, in provincia di Pordenone, nacque a La Havre, in Francia. Studiò a Vienna e a Venezia, poi ricevette una lettera da un cugino che abitava nel Vermont. In America c'era lavoro: e così, a soli 17 anni, il giovane si imbarcò. Fu fortunato: dopo alcuni lavoretti e dopo la guerra, il cognato gli procurò un impiego nel cantiere del Monte Rushmore.Tra i 400 carpentieri, a Del Bianco era stato affidato l'incarico di dar vita alle espressioni dei volti. Un compito sicuramente complicato e molto importante, che l'uomo svolse con una maestria riconosciuta sia dai suoi colleghi che dal responsabile dei lavori Gutzon Borglum che, secondo le testimonianze "non avrebbe affidato a nessun altro questa mansione".  La sua abilità gli permise di "avanzare di grado" rispetto agli altri lavoratori. Del Bianco divenne il portavoce del gruppo ed era proprio lui a parlare direttamente con Borglum per dargli informazioni sulle attività previste, mentre dava vita a una piega delle labbra di Jefferson o allo sguardo di Washington. Un ruolo che solo ora viene riconosciuto ufficialmente dalle autorità del National Park Service americano, che gestisce il sito: la montagna dei presidenti, fino a l'altro ieri, veniva presentata come un lavoro di gruppo. Anche se l'immagine di Luigi era già ben visibile all'interno del Visitor Center di Monte Rushmore.
Fu proprio l'intagliatore a ricordare le difficoltà del suo ruolo, in un'intervista all'Herald Statesman nel 1966: "Potevo vedere solo da dove mi trovavo ciò che stavo facendo, ma l'occhio di Lincoln doveva sembrare giusto da molti chilometri di distanza. Conosco ogni linea e cresta, ogni piccolo urto e tutti i dettagli della sua testa".
"Tutte le persone che osservano il monumento mi dicono che c'è umanità in quel granito" è il commento soddisfatto di Lou Del Bianco, nipote di Luigi. Che, assieme al resto della famiglia, da anni ha chiesto che il nonno potesse ottenere un riconoscimento. Quand'era bambino Lou ha ascoltato i racconti dell'intagliatori e, una volta cresciuto, ha fatto ricerche e raccolto testimonianze per dimostrare che probabilmente l'attività del parente doveva essere ricordata. Aprendo anche un sito che ripercorre la sua storia. 
Ora gli eredi di Luigi Del Bianco possiedono una targa che ricorderà che il nonno ha avuto una parte da protagonista nella storia del monumento americano. "Il Monte Rushmore e i suoi volti resteranno qui finché il vento e la pioggia li porteranno via" disse una volta il progettista Gutzon Borglum. Silenziosi testimoni della bravura di Luigi Del Bianco.
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Dopo il Covid i milanesi hanno fame di arte: Brera raddoppia gli orari (con visite gratis)

6/27/2020

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Brera non lascia, ma raddoppia. A partire da martedì 23 giugno, infatti, la Pinacoteca sarà aperta dal martedì alla domenica con orari decisamente prolungati. Il museo, infatti, aprirà le proprie porte tutti i giorni - lunedì escluso - dalle 9.30 alle 18.30, con ultimo ingresso alle 17. La Pinacoteca era stata riaperta al pubblico, dopo l'emergenza Coronavirus, lo scorso 9 giugno - il martedì e il mercoledì mattina e dal giovedì alla domenica il pomeriggio -, ma l'enorme richiesta ha spinto la direzione ad allungare gli orari. 
Dalla città c'è stata, spiegano dalla Pinacoteca," una straordinaria risposta, con quasi 10 mila prenotazioni" arrivate. Confermati gli ingressi gratuiti per tutti, con prenotazione obbligatoria. "Ogni visitatore deve prenotare la propria visita sulla piattaforma brerabooking.org, indicando età ed eventuale presenza di bambini. È obbligatorio presentare il codice della prenotazione all’ingresso della Pinacoteca di Brera", si legge sul sito.
"La gratuità è un nostro modo per dire grazie alla città, di esserle riconoscenti – ha spiegato il direttore James Bradburne –. Se Brera è nel cuore di Milano, i milanesi sono nel cuore di Brera. Ed è a loro che rivolgiamo il nostro grazie: per non aver mai abbandonato idealmente le nostre sale, per averci fatto sentire il loro sostegno». 
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Paesi nordici e pandemia. La Norvegia scommette sulla creatività

6/20/2020

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LA NORVEGIA HA SCELTO DI RISPONDERE AI DURI COLPI SFERRATI DALLA PANDEMIA CON UNA SERIE DI AZIONI CONCRETE A SOSTEGNO DELLA CULTURA E DELLE ARTI.

Conosciuta all’estero più per le sue bellezze naturalistiche che per il suo patrimonio culturale, la Norvegia investe in cultura e crede nell’arte.
In linea generale le opportunità in Norvegia non mancano, è un Paese ricco, con una buona qualità della vita, e ai norvegesi va riconosciuto il merito di saper mantenere una certa semplicità, strategia vincente per restare degli esseri umani ottimisti in questo mondo che va un po’ alla rovescia. E anche se non mancano le contraddizioni a tanti livelli, per esempio di fronte alla conservazione dei beni culturali e architettonici (vedi l’attuale indicazione per la demolizione dell’Y-blokka, edificio disegnato dall’architetto Erling Viksjø e decorato da Carl Nesjar e Pablo Picasso), si ha la netta sensazione che il Paese stia mettendo non soltanto le persone, le famiglie, i giovani e i bambini nella condizione di riprendersi dalla crisi innescata dal COVID-19, ma che stia riconoscendo anche alla cultura, all’arte e alla creatività l’importanza strategica che queste dovrebbero ricoprire in una società avanzata.
Sono cifre significative quelle che la Norvegia ha stanziato a supporto di cultura, sport e volontariato per fronteggiare la crisi di questo 2020 ostico e bisesto. Parliamo di circa 1,8 miliardi di Corone messe a disposizione dal Ministero della Cultura in un pacchetto di aiuti straordinari per il settore della creatività. Nello specifico, oltre alle borse di studio destinate a sostenere economicamente il lavoro di musicisti, scrittori e artisti, 650 milioni di Corone sono andate a supporto delle istituzioni culturali del Paese come i musei finanziati con fondi pubblici e le istituzioni musicali e teatrali.
L’azione concreta con cui si sono esposte le istituzioni norvegesi attraverso gli aiuti economici alla cultura è la conseguenza naturale della consapevolezza del Governo che al mondo della creatività debba spettare indipendenza economica e che agli artisti occorra un supporto per produrre in modo libero senza dipendere dal mercato dell’arte, visto che si tratta di soggetti professionalmente vulnerabili con un reddito instabile. E dove, purtroppo molte altre realtà si sono trovate escluse dagli aiuti, come nel caso delle gallerie, ad esempio, si sono attivate con aiuti straordinari altre istituzioni. Per citarne soltanto un paio, Nasjonalmuseet e Fritt Ord.
Il museo nazionale si è dotato di un budget straordinario di 30 milioni di Corone a supporto della creatività norvegese da destinare a nuove acquisizioni. L’intero budget verrà utilizzato nel corso del 2020 per acquistare direttamente dalle gallerie e da altri centri di produzione artistica opere d’arte, oggetti legati alle arti applicate e al design realizzati da artisti norvegesi.
A garanzia di una continuità e vivacità del dibattito in ambito culturale, artistico e sociale, si è mossa, invece, Fritt Ord, la fondazione che ha come scopo statutario quello di promuovere e supportare la libertà di espressione, le arti e il dibattito pubblico su temi d’interesse culturale. Con un extra budget di 40 milioni di Corone, Fritt Ord sta supportando progetti digitali di mediazione e comunicazione per la diffusione online di contenuti culturali, supportando di fatto gallerie private e altre realtà minori escluse da sostegni pubblici legati alla crisi innescata dal COVID-19.
Attraverso quattro interviste realizzate a Oslo ad altrettante donne che lavorano con e per l’arte, proviamo a riportare l’esempio di come le realtà culturali norvegesi stiano reagendo con ottimismo e sensibilità di fronte alla spiazzante condizione con cui la pandemia ha ridisegnato le nostre vite.
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Le opere d'arte riducono lo stress dei loro osservatori. Il test scientifico alla cupola di Vicoforte lo dimostra

5/30/2020

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L'arte fa bene alla salute, alla mente e al fisico. A dimostrarlo è stato lo studio condotto dal professor Enzo Grosso, docente di Qualità della vita e promozione della salute all'università di Bologna. L'esperimento consisteva nel far salire le persone-cavie a 63 metri d'altezza per vedere da vicino la cupola ellittica più grande mai realizzata, quella del santuario di Vicoforte, nel Cuneese. Prima di salire e dopo la discesa le infermiere dell'Asl 1 di Cuneo erano pronte a prelevare un campione di saliva e a confrontare il livello di cortisolo prima e dopo la visita. A spiegare come funziona è stato un cronista di Repubblica, che si è sottoposto in prima persona al test.
Hanno partecipato allo studio 99 persone tra i 19 e gli 81 anni (51% maschi). Il gruppo di studio era caratterizzato da un livello di istruzione medio-alto (42% laureati); da un'attività lavorativa di concetto (71%) e da un indice di partecipazione culturale discreto.
Le cavie hanno dovuto sottoporsi a un questionario per sapere se piace loro l'arte, quanti libri leggono e quali sono le loro condizioni di salute e se professano qualche religione.
"Dopodiché, la cupola: in fila indiana saliamo 240 gradini di scala a chiocciola. Gran finale di 17 pioli in verticale che devo scalare, imbragato, per raggiungere il cupolino", scrive Roberto Orlando. "La vista da quassù ripaga ogni piccolo sforzo".Dopo due ore di visita i visitatori devono scendere e via altro tamponcino di saliva.
"Quanto cortisolo avrò rilasciato durante la visista? se alla partenza la mia produzione era di 0,86 microgrammi per decilitro, oltre la soglia standard che è 0,75, al mio rientro il valore è sceso a 0,35", scrive Orlando.
Il professor Grosso ha spiegato che i risultati del test sono sempre sorprendenti. In media durante la visita il cortisolo scende del 60% e oltre il 90% dei partecipanti ha dimostrato di sentirsi molto meglio dopo la visita.
"Questo apre altri scenari nella cura delle diverse patologie degenerative, come l'Alzheimer o il cancro. "L'arte come terapia - spiega Grossi - non è una novità. Ma il punto è che mai fino ad ora abbiamo avuto la misura dei benefici della cultura sulla salute". E questo oggi è possibile grazie a Nicola Facciotto, presidente di Kalatà, cooperativa d'impresa sociale, che consente al pubblico di salire sulla cupola.
Facciotto ha un'idea ben precisa di fruibilità dell'arte.
"Il comparto della cultura dovrebbe scrollarsi di dosso le vecchie ritualità e immaginare forme nuove di fruizione più adeguate agli stili di vita di oggi", ha concluso Facciotto.


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Orologi, arte e collezionismo: quali investimenti stanno reagendo meglio al Covid

5/23/2020

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Nasce Mood Art Gallery, la prima galleria che cura con l'arte-terapia

5/12/2020

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Mood Art Gallery è la prima galleria d’arte che cura l’ansia e lo stress ispirandosi all’arte-terapia.

Nasce Mood Art Gallery, la prima galleria d’arte che intende curare l’ansia e lo stress con i quadri, ispirandosi all’arte-terapia. 
È l’idea del trentenne Nazareno Bresciani nata durante il periodo di quarantena, come rimedio all’ansia e allo stress causati dall’emergenza sanitaria Covid-19. La sua galleria propone di utilizzare i quadri come rimedi terapeutici. "Avevo già seguito corsi di counseling“ ha affermato l’ideatore del progetto ”e ho trovato un’efficace sintesi tra le competenze da counselor e la mia passione per l’arte in occasione dell’isolamento obbligato nel quale mi sono ritrovato a causa dell’emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del Coronavirus. Ed è così che è nata Mood Art Gallery". 
M.A.G. - Mood Art Gallery è accessibile dal sito www.moodartgallery.it ed è possibile trovare tutte le infomazioni sul progetto e contattare gli esperti per ottenere una consulenza. “Dopo un colloquio necessario per inquadrare la personalità dell’interessato” ha precisato Bresciani “proponiamo alcune opere d’arte da contemplare: una pratica con finalità curative che permette di rafforzare stati di debolezza quali stress, ansia o stanchezza mentale. Le opere possono essere acquistate oppure anche solo noleggiate per essere poi restituite una volta terminato il ciclo terapeutico”. 

Si tratta dunque di un ambulatorio artistico che si basa sui principi dell’arte-terapia: una disciplina che si è sviluppata negli anni Quaranta in Gran Bretagna e negli Stati Uniti come modalità di cura per i reduci di guerra traumatizzati. Normalmente questa tecnica mira a curare il paziente coinvolgendolo in attività come la pittura, il disegno o la manipolazione della creta; nel metodo concepito da Mood Art Gallery si ricorre, invece, all’opera d’arte come fosse un rimedio terapeutico. 
“Il periodo che viviamo, segnato profondamente dalla diffusione del virus e dalle relative misure di restrizione, espone tutti noi a disagi e malesseri che investono duramente il nostro equilibrio psicofisico. È dunque necessario ricorrere a tutti i rimedi possibili per superare questo momento critico. E in questo non c’è ombra di dubbio che l’arte possa dare un grande contributo” conclude.

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Vedere una mostra fa bene alla salute e all’umore

5/9/2020

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La neuroscienza lo dimostra: quando contempliamo un capolavoro si attiva l’area celebrale del piacere. L’arte può suscitare emozioni talmente intense da attutire il dolore sordo dello spirito. È il potere curativo della Grande Bellezza

Nel Settecento, per sfuggire alla nube dell’umore cupo, gli inglesi erano mandati in viaggio in Italia, a visitare siti archeologici e gallerie di dipinti. La tristezza veniva dislocata, con la speranza che la grandeur monumentale di Roma o il fascino delle colonne spezzate nella Magna Grecia lenissero la malinconia.
In un certo senso, i medici di allora avevano ragione. L’arte può suscitare emozioni talmente intense da attutire il dolore sordo dello spirito. È la bellezza a echeggiare in noi. La coppia che volteggia a mezz’aria ne La Passeggiata di Chagall o La notte stellata di Van Gogh possono riverberarsi nella mente, indurre cambiamenti nei percorsi dei neuroni e produzione di sostanze chimiche.

«La ricerca della bellezza, in cui arte e cultura sono strumenti importanti, può essere un elemento rilevante per il raggiungimento di quella qualità della vita alla quale tutti aspiriamo», scrive il neurochirurgo Giulio Maira nel suo recente libro Il cervello è più grande del cielo (Solferino).
«D’altra parte, anche la percezione della bellezza come massima espressione e realizzazione della nostra realtà è parte del raggiungimento della felicità. Se ci pensiamo, noi siamo circondati dalla bellezza, tutto il nostro mondo è permeato di bellezza e armonia, basta guardarsi attorno per scoprirlo negli elementi della natura e nelle opere dell’uomo, dai semplici fiori di campo alle opere degli artisti di tutti i tempi».

Una mostra migliora l’umoreSecondo uno studio norvegese, pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health, andare a visitare le mostre migliora gli stati d’animo. La ricerca ha esaminato per tre anni oltre 50mila persone, sottoponendole a questionari sulle attività creative e culturali svolte e sul loro umore. Si tratta di una delle prove a sostegno di come anche la contemplazione dell’arte possa essere uno strumento utile in una terapia per combattere gli stati depressivi.

Perché un quadro ci incanta?Ma perché La Nascita di Venere di Botticelli produce un piacere intenso nei visitatori degli Uffizi? E perché lo stesso accade con Le Ninfee di Monet al Museo dell’Orangerie? E con la Las Meninas di Velázquez al Prado (che a novembre 2019 ha festeggiato i suoi duecento anni di vita)?
Qualche lustro fa, nel 1994, il neurobiologo Semir Zeki, docente all’University College di Londra, ha fondato la neuroestetica, una disciplina che si propone di indagare i meccanismi coinvolti nell’esperienza estetica, cercando di capire che cosa si metta in moto nel nostro cervello quando dinanzi ai nostri occhi appare un capolavoro come quelli di Leonardo.
«Nessun quadro ci parla più della Gioconda e nessuno ci riguarda più di lei, perché noi avvertiamo che supera la materia della pittura per diventare una presenza in carne e ossa», scrive Vittorio Sgarbi nel suo ultimo saggio, Leonardo, il genio dell’imperfezione (La Nave di Teseo): «È questa la potenza dell’arte e la potenza di Leonardo: darci un’immagine viva».

Il meccanismo dell’emozioneIl neurobiologo Zeki ha condotto un esperimento con la risonanza magnetica funzionale (ne riferisce la rivista Plos One): consisteva nell’osservazione del cervello di 21 persone, mentre erano intente a guardare un certo numero di opere d’arte. Quando i volontari si trovavano di fronte a un quadro che giudicavano meraviglioso, si accendeva una zona in particolare: l’area orbito-frontale, coinvolta nei centri cerebrali del piacere.

«La bellezza si accompagna sempre all’attività neurale di una specifica parte del cervello deputata all’elaborazione delle emozioni che si chiama field A1 e che si trova nella corteccia orbito-frontale mediale», ha spiegato lo scienziato. «Questa attività è anche quantificabile. Più intensa è l’esperienza del bello, più intensa sarà l’attività registrata nell’area».
Si aggiunge un dato veramente curioso: ad attivarsi in chi guardava i dipinti era anche il nucleo caudato, un’area cerebrale molto profonda, la stessa che è messa in moto dall’amore romantico. Zeki ha dedotto che esista una specie di correlazione fra la bellezza dell’arte e quella della persona desiderata.
È questo meccanismo a essere in larga misura responsabile delle emozioni e della sensazione di piacere intenso che deriva dal guardare il Suonatore di liuto di Caravaggio all’Hermitage o uno dei volti dipinti da Artemisia Gentileschi.

L’artista è come un neurologoUno spunto che deriva dagli studi di neuroestetica fa il paio con le riflessioni che esprimeva il filosofo David Hume nel Settecento: «La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva». È negli occhi di chi guarda che diventano davvero e inderogabilmente splendidi il quadro del museo, il fisico scultoreo di un attore o il viso dell’amante. Quando la stimolazione della corteccia visiva suscita un’emozione forte.
Ma è anche vero quanto ha scritto lo scienziato Lamberto Maffei: «L’artista è una sorta di raffinato neurologo che sa trovare gli stimoli adeguati per eccitare il cervello e l’arte è una droga buona alla quale è fisiologico, e forse anche terapeutico, assuefarsi».

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Cosa si nasconde dietro l’arte di James Turrell?

4/29/2020

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Osservando una delle numerose opere di luce di James Turrell, è quasi naturale domandarsi perché ne siamo così attratti.

È l’intensità dei colori? La bellezza delle forme create? Certo, ma non solo. L’artista statunitense ha un paio di assi nella manica molto efficaci per affascinare i propri spettatori: psicologia e scienza.
Non è molto noto che Turrell abbia, infatti, una prima formazione non da artista, ma da psicologo. L’arte è arrivata dopo la laurea in psicologia, quando decise, nel 1966, di aderire al neo formatosi movimento del Light and Space. Pur non proseguendo gli studi in psicologia, Turrell ha sempre fatto grande uso di ciò che ha imparato. L’ingrediente principale delle sue opere è la percezione, l’esito più evidente è l’utilizzo dell’effetto percettivo del ganzfeld nella famosa serie delle opere così denominate.
Tutto qui? Assolutamente no. Turrell, all’università, ha frequentato anche dei corsi di matematica, astronomia e scienza. La sua fascinazione per il cielo e le stelle, che lo accompagna dall’infanzia, si manifesta nella sua opera in itinere più recente: il Roden Crater, capolavoro di unione tra terra e cielo.
I suoi studi scientifici hanno un risvolto anche anatomico: Turrell ha studiato la conformazione dell’occhio e le onde cerebrali trasmesse dalla visione. Utilizza queste sue conoscenze a suo vantaggio. Negli Skyspace, gli basta cambiare il colore delle “finestre sul cielo” per influenzare i nostri fotorecettori e alterarne il colore del cielo; nei Ganzfeld, manipola e abbassa la frequenza delle onde cerebrali trasmesse dall’occhio per introdurre nello spettatore uno stato passivo, quasi di trance.
Alla fine, cosa rende così accattivanti – e quasi divertenti – le opere di James Turrell? L’esperienza percettiva unica che ci permettono di fare. Turrell quasi ci prende in giro, ci fa vedere cose che non ci sono, crea sagome tridimensionali con soli fasci di luce e ci immerge nel colore fino al punto di farci vedere il cielo viola o giallo. Ci mette davanti alle imperfezioni del nostro apparato percettivo e ci fa comprendere la relatività di tutto quello che vediamo. È esattamente questo che ci affascina: la possibilità di vedere qualcosa che non abbiamo mai visto.
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Vedere una mostra fa bene alla salute e all’umore

4/28/2020

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La neuroscienza lo dimostra: quando contempliamo un capolavoro si attiva l’area celebrale del piacere. L’arte può suscitare emozioni talmente intense da attutire il dolore sordo dello spirito. È il potere curativo della Grande Bellezza

Nel Settecento, per sfuggire alla nube dell’umore cupo, gli inglesi erano mandati in viaggio in Italia, a visitare siti archeologici e gallerie di dipinti. La tristezza veniva dislocata, con la speranza che la grandeur monumentale di Roma o il fascino delle colonne spezzate nella Magna Grecia lenissero la malinconia.
In un certo senso, i medici di allora avevano ragione. L’arte può suscitare emozioni talmente intense da attutire il dolore sordo dello spirito. È la bellezza a echeggiare in noi. La coppia che volteggia a mezz’aria ne La Passeggiata di Chagall o La notte stellata di Van Gogh possono riverberarsi nella mente, indurre cambiamenti nei percorsi dei neuroni e produzione di sostanze chimiche.
«La ricerca della bellezza, in cui arte e cultura sono strumenti importanti, può essere un elemento rilevante per il raggiungimento di quella qualità della vita alla quale tutti aspiriamo», scrive il neurochirurgo Giulio Maira nel suo recente libro Il cervello è più grande del cielo (Solferino).
«D’altra parte, anche la percezione della bellezza come massima espressione e realizzazione della nostra realtà è parte del raggiungimento della felicità. Se ci pensiamo, noi siamo circondati dalla bellezza, tutto il nostro mondo è permeato di bellezza e armonia, basta guardarsi attorno per scoprirlo negli elementi della natura e nelle opere dell’uomo, dai semplici fiori di campo alle opere degli artisti di tutti i tempi».

Una mostra migliora l’umore
Secondo uno studio norvegese, pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health, andare a visitare le mostre migliora gli stati d’animo. La ricerca ha esaminato per tre anni oltre 50mila persone, sottoponendole a questionari sulle attività creative e culturali svolte e sul loro umore. Si tratta di una delle prove a sostegno di come anche la contemplazione dell’arte possa essere uno strumento utile in una terapia per combattere gli stati depressivi.

Perché un quadro ci incanta?
Ma perché La Nascita di Venere di Botticelli produce un piacere intenso nei visitatori degli Uffizi? E perché lo stesso accade con Le Ninfee di Monet al Museo dell’Orangerie? E con la Las Meninas di Velázquez al Prado (che a novembre 2019 ha festeggiato i suoi duecento anni di vita)?
Qualche lustro fa, nel 1994, il neurobiologo Semir Zeki, docente all’University College di Londra, ha fondato la neuroestetica, una disciplina che si propone di indagare i meccanismi coinvolti nell’esperienza estetica, cercando di capire che cosa si metta in moto nel nostro cervello quando dinanzi ai nostri occhi appare un capolavoro come quelli di Leonardo.
«Nessun quadro ci parla più della Gioconda e nessuno ci riguarda più di lei, perché noi avvertiamo che supera la materia della pittura per diventare una presenza in carne e ossa», scrive Vittorio Sgarbi nel suo ultimo saggio, Leonardo, il genio dell’imperfezione (La Nave di Teseo): «È questa la potenza dell’arte e la potenza di Leonardo: darci un’immagine viva».
Il meccanismo dell’emozione
Il neurobiologo Zeki ha condotto un esperimento con la risonanza magnetica funzionale (ne riferisce la rivista Plos One): consisteva nell’osservazione del cervello di 21 persone, mentre erano intente a guardare un certo numero di opere d’arte. Quando i volontari si trovavano di fronte a un quadro che giudicavano meraviglioso, si accendeva una zona in particolare: l’area orbito-frontale, coinvolta nei centri cerebrali del piacere.
«La bellezza si accompagna sempre all’attività neurale di una specifica parte del cervello deputata all’elaborazione delle emozioni che si chiama field A1 e che si trova nella corteccia orbito-frontale mediale», ha spiegato lo scienziato. «Questa attività è anche quantificabile. Più intensa è l’esperienza del bello, più intensa sarà l’attività registrata nell’area».
Si aggiunge un dato veramente curioso: ad attivarsi in chi guardava i dipinti era anche il nucleo caudato, un’area cerebrale molto profonda, la stessa che è messa in moto dall’amore romantico. Zeki ha dedotto che esista una specie di correlazione fra la bellezza dell’arte e quella della persona desiderata.
È questo meccanismo a essere in larga misura responsabile delle emozioni e della sensazione di piacere intenso che deriva dal guardare il Suonatore di liuto di Caravaggio all’Hermitage o uno dei volti dipinti da Artemisia Gentileschi.

L’artista è come un neurologo

​Uno spunto che deriva dagli studi di neuroestetica fa il paio con le riflessioni che esprimeva il filosofo David Hume nel Settecento: «La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva». È negli occhi di chi guarda che diventano davvero e inderogabilmente splendidi il quadro del museo, il fisico scultoreo di un attore o il viso dell’amante. Quando la stimolazione della corteccia visiva suscita un’emozione forte.
Ma è anche vero quanto ha scritto lo scienziato Lamberto Maffei: «L’artista è una sorta di raffinato neurologo che sa trovare gli stimoli adeguati per eccitare il cervello e l’arte è una droga buona alla quale è fisiologico, e forse anche terapeutico, assuefarsi».

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L’arte è sempre più una terapia: i poteri curativi della pittura e del disegno

4/28/2020

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Pazienti in visita ai musei, laboratori in corsia, ospedali che sembrano una galleria. Si moltiplicano le iniziative che sfruttano i poteri curativi dell’arte. Ecco cosa succede in Italia

Si chiama “The Arte Hive” ed è una sperimentazione da poco partita in Canada; dallo scorso primo novembre ogni medico di base ha la possibilità di prescrivere ai propri pazienti una visita al museo. L’intero percorso è totalmente gratuito per i pazienti e per chi li accompagna. Ogni medico ha a disposizione 50 visite per altrettanti pazienti. Un passo decisivo verso l’arteterapia, una tecnica utilizzata ormai anche in diverse strutture ospedaliere in Italia. In poche parole, il patrimonio artistico non è solo una gioia per gli occhi. È anche di grande aiuto a chi sta combattendo contro la malattia. Ecco cosa succede nel nostro Paese.

Per le vittime di bullismo e non solo
L’arte è entrata nelle corsie dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano 3 anni fa, trasformandole in una casa accogliente, piena di vita e di colori. Il progetto ha coinvolto 19 artisti famosi, che hanno lavorato gratuitamente per dipingere le 16 stanze e gli spazi comuni della casa pediatrica dell’ospedale, trasformandola in una collezione unica nel suo genere, arricchita da una sezione fotografica.
Ma l’arte viene utilizzata anche per proporre ai giovani attività artistico-espressive che permettono loro di “parlare” di vissuti difficili. Attualmente nel laboratorio di ricerca di terapeutica artistica, diretto dalla professoressa Tiziana Tacconi e dal professor Luca Bernardo, si conducono progetti per ragazzi con disturbi di comportamento e di apprendimento, disturbi alimentari, vittime del bullismo, adolescenti autistici, dislessici e con differenti tipi di handicap, come per esempio i bambini affetti da sordità.
Per i disturbi alimentari 
È partito nelle Marche un progetto disciplinare promosso dalla Fondazione Ospedale Salesi onlus e dall’Unità operativa di neuropsichiatria di Ancona, rivolto ai ragazzi fra 13 ed 18 anni affetti da problemi alimentari. Anoressia, bulimia, obesità, alimentazione incontrollata, patologie complesse caratterizzate da tanta sofferenza e da una percezione alterata del proprio corpo vengono affrontati attraverso l’arte e la cultura.
Una volta alla settimana un gruppo di lavoro composto da un’arteterapeuta, una psicologa e una nutrizionista incontra gli adolescenti ricoverati per questi disturbi all’Ospedale Salesi; nel progetto sono coinvolti anche i genitori. I pazienti attualmente in carico nella struttura sono 120 provenienti da tutta la Regione; 800 circa le visite annuali, anche per adolescenti fuori dai confini marchigiani.
Per i malati di Alzheimer
Dal 2013 è attivo in modo permanente il progetto “A due passi nei musei di Milano”, un percorso museale, visivo e pratico studiato per chi è affetto da Alzheimer. Parte ogni anno a ottobre e si conclude a giugno, per gruppi di 10-12 malati, e coinvolge le Gallerie d’Italia, il Museo Poldi Pezzoli e la Pinacoteca di Brera.
Il progetto, totalmente gratuito, è finanziato dalla Fondazione Manuli, onlus nata con l’obiettivo di aiutare in modo concreto e professionale i malati di Alzheimer e le loro famiglie. Funziona così: ogni settimana per due ore i pazienti, dopo aver guardato alcune installazioni artistiche, svolgono un laboratorio con materiali di vario genere. «L’arte è un ponte privilegiato per offrire al malato l’opportunità di fare esperienza di sé e dell’ambiente che lo circonda», spiega Emanuela Galbiati, arteterapeuta e curatrice del progetto. «Stimola la creatività e i benefici psicologici per malati e familiari sono rilevanti».
Per gli adolescenti affetti da dipendenze e le famiglie in crisi
È nato la scorsa primavera il Dipartimento di arteterapia del Museo Carlo Zauli a Faenza. Zauli fu uno degli artisti più originali e interessanti del 900 italiano: ceramista, scultore, designer, morì nel 2002 e da allora le stanze del suo studio sono state trasformate in un museo. «Noi del Dipartimento organizziamo laboratori individuali o di gruppo», spiega Anna Maria Taroni, arteterapeuta e coordinatrice del progetto: «Esistono gruppi per bambini con difficoltà di comportamento e adolescenti affetti da dipendenze, per famiglie in crisi che vogliono ritrovare un dialogo, percorsi di arteterapia per singoli: donne e uomini con disturbi alimentari e madri in difficoltà». Con la dottoressa Taroni lavorano avvocati, psicoterapeuti. Chi partecipa a queste attività viene accolto negli spazi espositivi del museo in un’atmosfera magica.


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